Categorie: Claudio Lolli

Autobiografia Industriale

Claudio Lolli

Il primo giorno,
che ho messo un piede alla EMI,
mi hanno guardato,
sembravano tutti un po’ scemi.
Qualcuno diceva,
che ero il garzone del bar,
che aveva lasciato il caffé sulle scale,
qualcuno diceva,
che non ero normale,
qualcuno rideva, rideva …
Il direttore,
una strana espressione sul viso,
fece una smorfia
che oggi voglio chiamare sorriso,
e mi introdusse
nel suo studio di uomo arrivato,
mi parlò di arcipelago o gulag,
e mi disse: “Io penso,
che oggi sia molto giusto assentire al dissenso,
al dissenso…”.
Autobiografia industriale,
viva l’amore con l’industria culturale,
amore erotico e soddisfacente,
ma in definitiva,
un po’ troppo esauriente.

L’arrangiatore,
dopo avermi ascoltato un pochino,
disse “non male,
è simpatico quel valzerino,
io ci vedrei,
sopra un primo e un secondo violino
e una viola che piange da sola,
perché no, una pianola,
qualche cosa che prenda
e che stringa alla gola, alla gola”.
Il tecnico audio,
mi squadrò con un ghigno feroce,
ma il peggio è stato
quando ho fatto sentire la voce,
così piena di ragni di granchi di rane,
e altre cose un po’ strane,
una voce da regno dei più,
o da festival del sottosuolo,
una voce oltretutto
che mi accompagnavo da solo.
Autobiografia industriale,
viva le tette dell’industria culturale,
tette opulente e dissetanti,
ma in definitiva un po’ troppo pesanti.

Io a quel tempo,
stavo ancora aspettando Godot,
cioé aspettavo la morte
per poter dire “rinascerò”,
fatto diverso,
collegato d’amore alle masse,
più cultura, più lotta di classe,
ma Godot non è mai arrivato,
si fa le cose sue,
ed è meglio così, certo
per tutti e due.
Come prodotto,
non sono riuscito un granché,
vendono certo,
molto più Jagermeister di me,
ma lo confesso,
questo in fondo è un piacere da poco,
e non prova che sono diverso,
seriamente diverso,
come amaro il tuo calice vita,
com’è amaro il tuo gioco.
Autobiografia industriale,
cioè come il latte dell’industria culturale,
un latte amaro, molto indigesto,
ma soprattutto un po’ troppo caro.

La confezione,
con il marchio di verginità,
l’hanno affidata
a un fotografo di qualità,
che in verità,
al vedermi rimase perplesso,
con quella faccia da fesso
potrei fotografarlo,
solamente in un cesso, magari
con un po’ di velluto rosso.
Il primo giorno
che ho messo un piede alla EMI,
mi hanno guardato,
sembravano tutti un po’ scemi,
ma oggi ho capito
che di tutti il più scemo ero io,
l’unico che si prendeva sul serio
e restava anche male,
un incrocio terribile insomma,
tra un coglione ed un criminale.
Autobiografia industriale,
come inserirsi nell’industria culturale,
cioé come possono gli intellettuali,
dare una mano,
per mantenere gli stessi rapporti sociali.

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